XIX domenica del Tempo Ordinario (anno C) – 7 agosto 2022

Ricchi di fede e con le lampade accese

Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Luca 12,32-34

«La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede»: questa affermazione capitale, con la quale si apre la II lettura (Lettera agli Ebrei), è la chiave per comprendere il messaggio della liturgia di oggi. A sostenere la speranza e la carità del credente è la fede, che si alimenta e cresce nell’ascolto della Parola di Dio (cfr. Romani 10,17) e si nutre dell’esperienza personale che ciascuno fa dell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito, testimoniato e confermato da quanti, lungo la storia della Salvezza, hanno incontrato Dio e ne sono diventati amici. Per fede, continua la lettera, Abramo e Sara, primizie di una moltitudine, hanno accolto il “già e non ancora” della rivelazione di Dio in loro; per fede il patriarca ha potuto offrire «il suo unigenito figlio» Isacco in sacrificio, sapendo che «Dio è capace anche di far risorgere»; «nella fede morirono tutti costoro, senza avere ottenuto i beni promessi», che «videro solo da lontano». La perseveranza della fede è certezza che Dio non delude: essa non si perde né è affievolita dalle traversie o dalle sofferenze cui ciascuno è sottoposto nella vita quotidiana, perché viene dall’aver conosciuto e accolto il Salvatore nella nostra vita, dal percepire chiaramente la sua presenza, dal sentire che veramente Egli è «con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Matteo 28,20). La fede ha sostenuto il popolo santo di Dio, destinatario delle promesse della Salvezza nel corso della storia: il libro della Sapienza (I lettura) precisa che «la liberazione fu preannunciata ai padri perché avessero coraggio, sapendo a quali giuramenti avevano prestato fedeltà. Il popolo era in attesa della salvezza dei giusti», e ha trasmesso questa fede ai propri figli, di generazione in generazione. Essi sono concordi nell’«intonare le sacre lodi dei padri»: il salmo 32 (Responsorio) invita i giusti a esultare nel Signore e dichiara «beato il popolo che Dio ha scelto come sua eredità». Questo popolo «attende il Signore» e ripete: «Egli è nostro aiuto e nostro scudo».

CERTI DI ESSERE AMATI

Nel Vangelo Gesù conferma la fede dei suoi discepoli: «Al Padre vostro è piaciuto darvi il Regno». Invita a vivere forti solo di questa certezza, con la ricchezza inesauribile che deriva dall’essere figli amati del Re della Storia. Quanto viviamo, seppure doloroso, non ci toglie l’eredità cui siamo stati chiamati: questa verità dà spessore alla nostra esistenza e diventa monito per gli altri, perché profuma dell’amicizia fedele di Cristo. Siamo noi, oggi, il popolo santo di Dio, che lo attende «pronto, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese», come si aspetta lo sposo (cfr. Matteo 25,1-13). Questo popolo, sebbene «piccolo gregge», apparentemente indifeso ed esposto alle persecuzioni dei lupi, «non teme», non si scoraggia se sembra che il Signore «tardi a venire», non si stanca di attendere il Salvatore e in questa attesa, se anche a tratti può farsi faticosa, non cede alle lusinghe del mondo né «si conforma alla sua mentalità» (cfr. Romani 12,2), non rinuncia al deposito della fede né lo mistifica per comportarsi come al mondo piace. Sa che il Signore è sua eredità, che presso di Lui, dove è il tesoro, deve essere fisso il cuore.

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5 agosto 2022, annabellanecchi